Le grandi profondità marine sono tra le ultime frontiere della Terra, gli zoologi ritengono infatti che siano i territori meno conosciuti del nostro pianeta e ogni nuova spedizione rivela una biodiversità sempre più vasta.
Difficili da esplorare se non con i moderni rover subacquei, questi ambienti ospitano alcune delle specie più incredibili della Terra, non solo vertebrati ma anche invertebrati che sembrano usciti da un film di fantascienza.
La selezione naturale è lo strumento attraverso il quale le specie viventi vengono messe alla prova nel tempo, e pochi sono gli animali rimasti pressoché immutati per milioni di anni.
Alcuni di questi sono veri e propri superstiti adattatisi a ecosistemi estremi grazie a specifiche caratteristiche fisiche. Il Macrocheira kaempferi (Temminck, 1836) è uno degli esempi più significativi, vero successo dell’evoluzione.
Di certo il nome scientifico non aiuta a capire di quale animale si tratti, ma immaginiamo, amici dell’Arca, di andare al mare e incontrare un granchio largo più di 3 metri!
Descritta per la prima volta solo nel 1836, questa specie popola i fondali intorno alle isole giapponesi di Honshu e Kyushu e lungo parte delle coste di Taiwan, più a sud. Sebbene oggi sia l’ultimo rappresentante del suo genere, in origine altre specie simili erano diffuse anche sulle coste americane dell’Oceano Pacifico.
I resti fossili di cinque di questa specie, databili all’Eocene-Oligocene (36-23 milioni di anni fa), sono stati infatti scoperti lungo le coste dell’Oregon e dello stato di Washington (Stati Uniti), oltre che sui litorali della Columbia Britannica (Canada).
Nella lingua giapponese questa specie è nota come takaashigani, letteralmente “il granchio dalle lunghe gambe”, proprio perché questo in vertebrato, il più grande crostaceo al mondo, può arrivare a una larghezza complessiva di 3,8 metri grazie soprattutto ai lunghissimi arti disposti in numero di cinque per lato corporeo (decapode).
Il primo paio di arti possiede sull’estremità due pinze, più grandi nel maschio, utili per alimentarsi e per la comunicazione con gli altri individui. Le restanti quattro paia solo utilizzate per il movimento sul fondale marino.
Se gli arti sono così sviluppati (da qui il nome comune di granchio-ragno), altrettanto non si può dire del resto del corpo; la testa e il torace sono uniti (cefalotorace) e l’addome è pressoché invisibile poiché ripiegato sotto il corpo.
Il supporto e la protezione sono infatti garantiti da una struttura rigida denominata esoscheletro, resistente ma leggera: una vera e propria corazza esterna formata per lo più da chitina, una molecola che si ritrova anche nelle unghie.
Come si accresce dunque un animale così complesso? La risposta è tanto semplice quanto inusuale: cresce “dall’interno” mediante periodiche mute (ecdisi).
Quando il corpo aumenta di volume, semplicemente non può più essere contenuto dall’esoscheletro, che quindi si rompe. Questa fase, preceduta da un periodo di digiuno, pur durando solo 20-45 minuti, è molto delicata, poiché l’esemplare una volta fuoriuscito dalla sua vecchia corazza espone ai potenziali predatori un corpo ancora morbido…
Fonte: “Il granchio gigante giapponese!” è un articolo di Alessio Arbuatti, Medico Veterinario accreditato FNOVI in “Medicina dei pesci e gestione degli acquari”, professore di Zoologia ed Ecologia, Università di Teramo – tratto da L’Arca di Noé, maggio 2019
Fonte immagine: Giant spider crab Macrocheira kaempferi | Brian Gratwicke | Flickr
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