La pet therapy in Italia è ormai ampiamente utilizzata e con importanti risultati presso le case protette per anziani.
- «Nel caso di Alzheimer», spiega l’etologo Roberto Marchesini, «il vedere l’animale che sta giocando o risolvendo problemi, come trovare una pallina nascosta, riduce le emozioni negative dei malati, quali l’irritabilità e l’ansia. Lavorando dalla fine degli anni 90 nelle case di riposo e in enti per l’Alzheimer (la Fondazione Manuli a Milano e i centri di servizi alla persona di Reggio Emilia e Ferrara) abbiamo avuto risultati al di là delle nostre aspettative».
In situazioni meno compromesse, come la demenza senile e i disturbi cognitivi, invece, «la presenza del cane è utile a far aprire la persona al flusso dei suoi ricordi, inducendola a parlarne con i presenti», aggiunge l’esperto. «Spesso, infatti, gli anziani in queste strutture provano una sensazione di essere fuori posto che li porta a non interagire con gli altri ospiti».
- Peccato, lamenta Roberto Messina, presidente di FederAnziani Senior Italia, che la terapia assistita da animali non sia «ancora abbastanza diffusa nei centri sociali diurni, capillarmente diffusi sul territorio, che rappresentano il cardine della socialità per la popolazione anziana nel nostro Paese».
Ecco allora la proposta «Un primo passo potrebbe essere quello di incentivare l’adozione di almeno un pet da parte di ciascun centro, scegliendoli fra quelli al momento ospitati dai canili e gattili comunali. Opzione che dovrebbe, poi, essere trasformata in una prassi strutturata per tutti i centri sul territorio».
Fonte: tratto da un servizio di Marco Ronchetto su Ok Salute e Benessere, maggio 2016
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